Salvatore Di Sante

In punizione!

di Salvatore Di Sante

Katherine sorseggiava il tè appoggiata alla finestra, con una coperta leggera sulle spalle. Il sole che si spandeva placido sul mare di spighe animava onde di riverberi. Adorava ritagliarsi quella piccola parentesi di quotidiana beatitudine. D'un tratto un movimento colto con la coda dell'occhio la distolse dall'idillio. Si voltò leggermente e scorse una donna che risaliva il viottolo tenendo per mano una bambina. Quando si furono avvicinate abbastanza riconobbe la signorina Allison, l'insegnante di sua figlia, che stava strattonando, più che accompagnando, proprio sua figlia Maddy, per l'appunto.
Posò in fretta la tazza e si preparò a riceverle sulla veranda.

La signorina Allison si fermò ansimante, piantandole addosso un'occhiata accusatrice.
Maddy sollevò un istante lo sguardo per cercare conforto in quello della madre. La piccola aveva le labbra tese a fessura, gli occhi roventi e il visino corrucciato.
- Salve signora Robinson. - Disse la maestra spolverandosi la gonna, come se salutare la infastidisse data la gravità della situazione.
- Cosa è successo? - chiese Katherine senza ricambiare di proposito il saluto.
- Sua figlia si è meritata un'altra punizione. Ha rovesciato il calamaio in faccia a un compagno, - sentenziò come se dovesse attribuire la pena capitale.
- E cosa le aveva fatto quel bambino?
- Mi aveva preso in giro su papà... - sbottò Maddy fissando la mamma con aria supplichevole.
- Avevo appena assegnato il compito ed ero voltata a scrivere sulla lavagna. Non mi risulta nessuna presa in giro. Ho sentito un rumore, mi sono girata e Jeremy era tutto sporco d'inchiostro. Piangeva indicando Maddy e chiamandola «cattiva». Le rammento inoltre che il mese scorso sua figlia ha rotto un braccio a Peter, se lo ricorda? Per oggi la sospendo dalle lezioni e mi auguro, signora Robinson, che vorrà sfruttare il pomeriggio per insegnarle un po' di educazione e di buone maniere. - Girò i tacchi e calpestando furiosamente la ghiaia marciò in direzione del vecchio granaio che fungeva da aula scolastica.

Katherine prese amorevolmente per mano la figlia e la condusse in casa.
- Siediti e raccontami com'è andata, - le sussurrò. - Voglio sentire anche la tua versione. Zitella-Allison non mi sta troppo simpatica, - sorrise.
Il viso di Maddy si sciolse e si accese.
- Ci aveva dato un tema sul papà, - disse. - «Parlami di tuo papà». Ci sono rimasta male, mi veniva da piangere, - continuò con gli occhi lucidi. Katherine le prese di nuovo la mano e la piccola ricacciò indietro le lacrime, sforzandosi di continuare. - La signorina Allison se n'è accorta e mi ha detto che potevo farlo su di te, su mia mamma...
- Capisco, - annuì Katherine in tono grave.
- Ma quando la maestra si è voltata a scrivere il titolo alla lavagna, Jeremy da dietro mi ha detto che sono una bastarda e che tu sei una donnaccia. - Una lacrima scese piano a solcarle la guancia. - Peter poi aveva cominciato lui. Mi ha dato un pugno, in faccia eh! Io gliel'ho ridato sul braccio, anche piano...

Katherine chiuse gli occhi, concentrandosi. La scena le apparve nitida come se le si svolgesse davanti in quel momento: i capelli di Maddy che si gonfiavano, il banco che cominciava a tremare; infine il calamaio di Jeremy che esplodeva impiastricciandolo d'inchiostro.

- Noi siamo diversi, Maddy. Lo sai. - Disse Katherine in tono calmo, riaprendo gli occhi. - Jeremy si è comportato male. Non doveva dirti quelle cose. Cosa ti ho insegnato? Bisogna sempre rispettare il prossimo, no?
Maddy annuì abbacchiata, tirando su col naso.
- Non ascoltare gli stupidi o le persone cattive. Lasciali dire. Che t'importa cosa pensano di noi? Stiamo tanto bene io e te, vero?
- Sì mamma, - sorrise Maddy.
- Stai attenta coi tuoi poteri. Non farli vedere, tienili nascosti. Ancora non li controlli molto bene, ma col tempo ti abituerai. Io alla tua età non ero così svelta, - le sussurrò carezzandole i capelli.
- Ma tu mamma mi hai raccontato che da piccola hai combattuto... hai usato i poteri. Per salvare il nonno da Kasurotto...
- Kasumoto, - esclamò Katherine lasciandosi sfuggire una risata. - Era diverso, - spiegò poi tornando seria. - Ero stata costretta e ne andava della vita mia e del nonno.

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Ciao, Jake!

di Salvatore Di Sante

Il vecchio bimotore rollava come se i bulloni dovessero staccarsi da un momento all'altro. Le eliche solcavano il cielo con fracasso d'inferno; a Giulio sembrò quasi una mancanza di rispetto verso quell'incantevole panorama. D'altronde era Marco l'appassionato e l'esperto di aerei (e di motori in genere).
- Ehi, - aveva esclamato una mattina entrando come una furia nella falegnameria. - Ma tu lo sai quanto vive un licantropo?
Bella domanda. In effetti... Giulio arrestò la sega circolare con un'espressione perplessa dietro gli occhiali protettivi.
Il suo amico nonché socio aveva ragione. Jake era indietro di quasi 300 anni ma forse era ancora vivo: loro erano sempre pervasi da un vigore insolito e prepotente, in ogni momento della giornata. Una vitalità strabordante li accompagnava ovunque: nel lavoro, nei passatempi, negli sport, in ogni cosa che facevano, come un sottofondo costante.
Avevano quindi deciso, sulle ali delle ferie d'agosto, dell'entusiasmo e di quel Cessna decrepito (cui Marco si era dedicato negli ultimi cinque anni come un alchimista con la ricerca della pietra filosofale), di far rotta verso l'Isola della Scimmia.

                                                                          ***

- Cavolo, adesso dove atterriamo? - sbottò Marco urlando a squarciagola nel tentativo di sovrastare i motori.
Be' certo, l'isola era molto cambiata dal 1724, dai tempi della Caccia. Schiere di scintillanti alberghi tutti vetro e acciaio avevano rimpiazzato anche l'ultimo sbuffo di verde e marciavano fin quasi alla battigia. Una farinosa lingua beige pinticchiata di bagnanti brulicanti si perdeva sconsolatamente nella risacca turchina; il mare era forse l'unica cosa rimasta come allora.
Ammararono a un centinaio di metri dalla costa, soluzione decisamente poco ortodossa ma obbligata. Fossero stati in elicottero si sarebbero beatamente posati sulla terrazza di un albergo, incuranti delle ire del proprietario, di una mezza dozzina di suoi inservienti e dei poliziotti accorsi subito dietro. Almeno il loro, anche se un «catorcio volante» (così lo chiamava Giulio, Marco l'aveva preso per due soldi da un amico che voleva donarlo a un museo aeronautico), era un «idro»volante, con due provvidenziali galleggianti. Marco calò l'ancora (altra stravagante soluzione tutta sua, l'aveva rubata da una petroliera in disuso) e nuotarono senza fretta fino alla spiaggia. Si fecero strada fra gli sguardi attoniti dei turisti e le risatine dei bambini che li additavano, puntando il gabbiotto in legno di un Centro Informazioni che ammiccava come un miraggio nel deserto. L'avvenente receptionist li accolse con un sorriso ampio quasi come la scollatura, dissimulando molto professionalmente la sorpresa e l'istintiva diffidenza.

- Salve, vorremmo informazioni sulla leggenda di Jake Robinson. Era di queste parti, vero? - chiese Giulio in tono compassato. Aveva studiato bene la parte e Marco lo osservava con scherzosa ammirazione.
- Esatto, signore. Cosa vuole sapere in particolare?

- Abbiamo trovato su internet che si è sposato e vorremmo sapere dove si era stabilito con sua moglie... - Marco continuava a rivolgergli sorrisetti compiaciuti.
- Il pirata Jake Robinson sposò una nobildonna inglese, Eva Sparrow, da cui ebbe una figlia, - rispose Silvia (così recitava la targhetta appuntata sul décolleté).

Katherine..., pensò Giulio ricordando la foto che avevano scovato in rete.
- I coniugi Robinson vissero nella tenuta di Greenwood, vicino Londra, fino alla fine dei loro giorni, - continuò Silvia porgendo loro un dettagliato opuscolo. - Ecco, qui trovate tutto: vita, morte e miracoli di Jake Robinson, - concluse conciliante.

- Morte speriamo di no, - sussurrò Marco. Silvia lo guardò interdetta e Giulio gli diede una gomitata. - Grazie mille signorina, - disse sbrigativamente tirandosi dietro l'amico.
- Ancora una cosa signori: se lo desiderate è possibile visitare il castello, nella tenuta. Ci vivono due vecchietti, loro discendenti a quanto sembra.

- Seee... discendenti..., - mugugnò Marco. E altra gomitata di Giulio che questa volta riuscì a portarlo via definitivamente.

Tenuta di Greenwood, nei pressi di Londra, agosto 2014

- Ehiii Jaaake...!

Il vecchio abbassò la scure e riparandosi dal sole con la mano scrutò i due pazzoidi che si sgolavano e si dimenavano a cavalcioni di quel trabiccolo volante.
Giulio e Marco fecero tre o quattro passaggi radenti, sempre gridando e sbracciandosi.
Alla fine l'anziano pirata realizzò. - Ciaaaooo ragaaazziii! - urlò lasciando cadere l'accetta.
- Eva! Vieni a vedere chi c'è! - Una graziosa vecchina raggiunse il marito lì sul prato, accanto alla catasta di legna.
Vista la splendida giornata Jake decise di stendere una coperta all'ombra di una quercia. Trascorsero tutto il pomeriggio a parlare: ricordarono la tremenda esperienza che li aveva fatti incontrare, Giulio e Marco fecero la conoscenza di Eva e tutti e quattro raccontarono a briglia sciolta delle loro vite.
- E così vi siete messi in società e avete aperto una falegnameria... - fece Jake.
- Sì, «Legno dall'altro mondo». Coltiviamo e vendiamo la grinolia dei poveri Liar e Sennar, - rispose Giulio. Al pensiero dei due alieni si rabbuiarono un attimo ma poi la conversazione riprese col solito entusiasmo. Scorrevano fiumi, di parole e di birra fresca.

- Vivete qui da soli? - domandò a un certo punto Marco.

Jake ed Eva si scambiarono un'occhiata. - Venite, - disse infine il vecchio pirata alzandosi ed invitandoli a seguirlo.
Rientrarono tutti nel castello e fiaccole alla mano scesero in silenzio una ripida scalinata ricavata nella pietra grezza. Giunsero a una porticina di legno il cui chiavistello era bloccato da un lucchetto. Jake estrasse dal panciotto la chiave e introdusse Giulio e Marco nell'angusta grotta. Lui e sua moglie Eva attendevano sulla soglia. Un debole fascio di luce filtrava da una finestrella circolare, a rischiarare un piccolo altare con alcune candele, spente al momento, e due ritratti a carboncino. Due donne, una morta nel 1801, l'altra nel 1830. Sorridevano serene.
- Nostra figlia Katherine e nostra nipote Maddy, - spiegò Jake. - Hanno vissuto quanto un normale essere umano, - rivolse un tenero sguardo alla moglie - non si trasformavano, avevano poteri differenti dai nostri...

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Visita ai nonni

di Salvatore di Sante

Tenuta di Greenwood, nei pressi di Londra, anno 1756

Jake era intento a caricare la pipa. Dopo cena era il suo rito propiziatorio per una bella dormita. Pressava dolcemente il tabacco, avendo cura di lisciarne lo strato nella maniera più perfetta possibile. Sua moglie Eva aveva spento il fuoco e stava sganciando il calderone dello stufato, quando bussarono al portone del castello.
Si scambiarono uno sguardo interrogativo e perplesso. Jake posò la pipa. - Tu resta qui, - disse staccando dalla parete una scimitarra e avviandosi. Chiunque fosse, com'era arrivato al portone? Come aveva superato il cancello?
- Ciao mamma, - le sorrise Katherine facendo il suo ingresso.
- Guarda chi ti ho portato... - esclamò Jake alla moglie, tenendo in braccio una graziosa bimbetta dai boccoli color grano e dai grandi occhi scuri.
- Ho piegato le sbarre del cancello, sai nonno, - esultò Maddy.
- Coi poteri della mamma? - chiese Jake divertendosi a pungerle il visino con la barba ormai quasi del tutto bianca.
- Nooo... - si schermì la piccola allontanando divertita le guance abrasive del nonno, - con le mani...
- Ah birbantella, allora mi hai rotto il cancello eh... - tuonò Jake in tono scherzoso.
- Dopo l'ho rimesso a posto, nonno - dichiarò Maddy orgogliosa dell'impresa.
Katherine accarezzò dolcemente la guancia della figlia.
- Hai fatto bene a passare figliola, - le disse Eva smettendo le faccende, - è un pezzo che non ci si vede.
- Nonno nonno raccontami una storia! - esclamò Maddy dondolando in braccio a Jake.
- Voleva assolutamente una storia, - sussurrò Katherine alla madre, - sono dovuta passare per forza, - sorrise.
Maddy nel frattempo si era divincolata dall'abbraccio del nonno e saltata giù lo aveva trascinato nella camera da letto per estorcergli qualche racconto avventuroso.
- Come sta la piccola, tutto bene? - domandò Eva a Katherine una volta rimaste sole. A parte qualche ruga appena accennata e vaghi sprazzi grigi tra i ricci fluenti, Eva era ancora una donna molto attraente, pensò Katherine specchiandosi negli stessi occhi verdi della madre.
- Alla sua età i miei poteri non erano così forti, - disse Katherine.
- Si è mai trasformata con la luna piena?
- No. Credo che non abbia bisogno di cambiare aspetto. E' già fortissima e molto agile.
- Le generazioni che passano... la natura che affina la sua opera... - rifletté Eva. - Lui si è più fatto sentire? - chiese poi in tono sommesso.
Katherine scosse la testa sospirando.
- Non è da tutti accettare una cosa del genere, - disse Eva. - A Maddy hai detto niente?
- Le ho detto che il babbo è in giro per mare, come faceva da giovane il nonno.
- E lui sa niente di Maddy?
- Katherine fece ancora segno di no con la testa.
- Forse ne avrebbe il diritto, non credi? E' pur sempre sua figlia... - buttò lì Eva timidamente.
- Maddy non ha bisogno di un padre così. Di un vigliacco! - sbottò Katherine. Se ne pentì subito e gettò l'occhio in direzione della camera dov'erano sua figlia e suo padre.
- Dai Kat... non so quanti sarebbero stati capaci di...
- Non gli ho detto che ero incinta. Non ho fatto in tempo: è sparito non appena gli ho confidato di me. Be' meglio così. Non lo voglio un codardo. Io e la mia bimba stiamo bene anche da sole. Adesso cambiamo discorso: voi come state?
- Cosa vuoi figlia mia... gli anni passano. Cominciamo a essere vecchiotti. Ma va bene, non ci lamentiamo. La licantropia aiuta a mantenersi sani!
Risero insieme, prendendosi le mani.
- Chissà cosa combinano quei due di là... - scherzò Katherine.
- Jake va matto per Maddy. Ogni volta che sta con lei si illumina, ringiovanisce a vista d'occhio, - disse Eva.

- C'era una volta, - iniziò Jake seduto sul letto, - venti miglia a sud-est dell'isola di Tortuga, lungo una rotta poco battuta dalle navi mercantili, una lussureggiante isoletta che i bucanieri di tutto il mondo avevano eletto a loro covo... - Maddy lo ascoltava rapita, seduta sulle sue ginocchia. - Decine di velieri vi salpavano coi cannoni scalpitanti, per farvi poi ritorno con le stive ricolme di spezie e preziosi...
- Cosa sono i bucanieri?
- E’ un altro nome per dire “pirati.”
- Come te nonno...
- Esatto piccolina. Allora, la vuoi sentire questa storia?
- Ci sono i mostri?! - domandò Maddy elettrizzata.
- Ci sono grossi scimmioni blu, lupi grandi grandi... e anche uomini d’acciaio.
- E sono cattivi?
- Molto cattivi!
- Bello! Dai nonno, racconta racconta!
- D’accordo. Ecco qui, piccolina: http://www.wizardsandblackholes.it/?q=la_caccia

- Ti è piaciuta la favola Maddy? - le chiese alla fine.
- Sì nonno, molto! Raccontamela ancora una volta!
- Per stasera basta, che si è fatto tardi e tu e la mamma dovete tornare a casa. Ma voglio dirti un segreto. Lo sai tenere un segreto, vero Maddy?
La piccola sgranò trepidante gli occhioni e si affrettò a fare sì con la testa.
Jake la fissò benevolo, per aumentarle ancor di più la curiosità. Poi si guardò intorno come per accertarsi che nessuno ascoltasse. Alla fine le si avvicinò e le sussurrò:- Non è una favola, è tutto vero. E quel pirata, il protagonista della storia, sono io.

Una recluta al poligono

di Salvatore di Sante

Le raffiche si interruppero quando entrò accompagnata dal sergente Berardi, incaricato per l'occasione di farle da istruttore.
- E quella sventola chi è? - sussurrò un agente al collega che faceva una pausa.
- La nuova arrivata. La ragazza di Jim.
- Ah. Ma li ha diciott'anni?
- Lo spero per Naspetti, ci manca solo che il commissario vada nei casini per aver arruolato una minorenne...
Guen rivolse loro un sorrisetto mentre si accomodava alla postazione e i due trasalirono come colti in fallo. Non poteva averli sentiti, non con le cuffie, erano solo bisbigli. Senza contare che nel frattempo le calibro nove avevano ricominciato a martellare.
- Aspetta, - la ammonì l'istruttore indicando un cartello dove campeggiava «È obbligatorio indossare cuffie e occhiali di protezione.»
- Gli occhiali sono solo un impiccio, - rispose Guen.
Il sergente fece spallucce. Fa' come ti pare, se ti fai male cavoli tuoi.
Prese la mira visibilmente impacciata. Al momento di premere il grilletto strappò e il colpo si perse, alzando uno sbuffo nella monticciola dietro il bersaglio.
I due che la osservavano si scambiarono un cenno ironico; Guen appariva stupita del potente rinculo. Berardi si lisciò sardonico i baffi grigi. Aveva usato una sola mano, errore da principiante: col grosso calibro a 25 metri è già difficile prenderci impugnando saldamente a due mani.
Svuotò svogliatamente il primo caricatore, in apparenza per nulla seccata che la sagoma del soldato laggiù in fondo fosse ancora intonsa, come verificò e riferì il corpulento sergente munito di binocolo. Ricaricò, armò la pistola e riprese posizione.
- Non così, - la schernì Berardi. Le prese le mani nelle sue, che sembravano due rugose palette da neve. - Non è una 22. La mano debole deve fornire uguale supporto per sorreggere l'arma in modo sicuro. - Si atteggiava a grande esperto mentre incombeva sull'aggraziata silhouette di Guen. - Polsi dritti per assorbire il rinculo, pollici uno sopra l'altro e bloccati verso il basso. Ecco, così. - E le si avvicinò ancora un po', distendendole le braccia e portandosi dietro di lei, quasi a sfiorarle i fianchi. - Ecco... adesso sei pronta a far fuo...
Con un guizzo inaspettato Guen si divincolò dalle grinfie dell'omone ed estrasse il caricatore. Berardi rimase di sasso. I due curiosi seguivano la scena divertiti.
Guen scarrellò la Glock 17T e con scatto felino intercettò al volo l'ultimo colpo, quello in canna. Fissando l'istruttore con ghigno beffardo appoggiò la pistola sul banco e mise la pallottola sul palmo della mano. Sorridendo schiccherò il proiettile che scomparve fischiando.
Dopo un attimo di esitazione il sergente puntò il binocolo sul soldato di carta. Adesso aveva un unico foro, proprio in mezzo alla fronte. Berardi farfugliò qualcosa senza riuscire a dare alla frase un senso compiuto, mentre Guen soddisfatta si dirigeva verso l'uscita ancheggiando con un pizzico di malizia. Passando davanti ai due fece loro l'occhietto, prima di lasciare le cuffie su un tavolino e richiudere dietro di sé il massiccio portone di ferro.
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Isolamento

di Salvatore di Sante

- È lì dentro lo stronzo? - Un secondo infermiere raggiunse il collega per la pausa sigaretta.
- Gli ha staccato la guancia a morsi. Gli hanno dato 20 punti, - mormorò con disprezzo il tipo più basso picchiettando sul pavimento una spolverata di cenere.
- A chi?
- Figurina.
- Quello che va sempre in giro con quella figurina del baseball e che ripete sempre tutta la squadra?
- Esatto, - rise l'altro.
- L'ho sentito dire. Del reparto 4. La figurina è di Joe DiMaggio?
- E che ne so. Chi se ne frega. I pazzi fanno cose da pazzi. - E rise più forte.
Lo smilzo ghignando si avvicinò allo spioncino della cella. Il vecchio Alan era accovacciato nell'angolo, infagottato nella camicia di forza fra quelle quattro pareti imbottite che sembravano cartoni per uova. Farfugliava una specie di litania, con la testa incassata fra le spalle e il mento premuto sul petto.
- Cosa sta blaterando? - domandò voltandosi e liberando una boccata di fumo.
- Boh, va avanti così da un pezzo, - rispose l'altro appoggiato mollemente al muro con la sigaretta fra le dita.

All'improvviso fece un salto all'indietro terrorizzato, per poco non inciampò sul collega: le iridi gelide di Alan lo bramavano incollate alla fessura.
- Cazzo! Maniaco di merda! - gemette.
L'altro scoppiò in una sonora risata.
- Cazzo ridi, scemo?!
- Rido perché per poco non ti caghi addosso.

Alan indugiò qualche istante incollato allo spioncino, gustandosi la scena divertito, poi pazientemente tornò al suo angolo, zoppicando appena. Appoggiò la schiena alla parete e si lasciò scivolare a terra con lo sguardo rivolto al pavimento.
Schiccherate le cicche i due infermieri tornarono ai rispettivi reparti, per continuare a maltrattare i pazienti che sarebbero loro capitati a tiro.
Alan riprese a sciorinare le sue riflessioni: - Fanculo. Mi manca fuori. Fuori potevo uccidere, qui non danno neanche le posate di metallo. Dieci minuti con quegli infermieri, libero. Sai che goduria! Potrei chiederlo come regalo a Jacques. Chissà se esaudisce anche i desideri oltre a regalare cianfrusaglie... Di sicuro non è umano. Un demone, ecco cos'è. Il diavolo. Persone ne ho uccise diverse, ma far fuori uno come lui... Adesso però mi aiuta il mio amico. E' un coglione paranoico, ma non è idiota e farà quello che gli dico. Se no peggio per lui. Tutti gli altri sì che sono idioti invece. Non capiscono che Jacques li sta fregando, coi suoi regali. Ma a me non m'incanta. Lo frego io quel pagliaccio, con le sue vestaglie antiche e il bastone da gran signore! Tra poco è sera, arriverà. Iniziano i giochi. Bisogna organizzarsi bene. Ma com'è possibile che nessuno si accorga di cosa succede qui dentro di notte? Dev'essere un altro incantesimo di Jacques. O di come diavolo si chiama, perché di sicuro quello non è il suo vero nome. Ho detto bene, di come diavolo si chiama. Perché quello è il diavolo.

Viaggio al Limite della Follia
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