23 anni prima di Mitòsis

Canto d'amore

di Laura Silvestri

Montagne Blanche
29 settembre del 24° anno prima di Mitòsis

Non mancava molto all’ora del risveglio. Questo Kerry lo sapeva dal colore che il cielo, in quella notte come tante, iniziava ad assumere, con il rosso del Sole nascente che andava a sovrapporsi alla luminescenza pallida di Speculus. Non poteva vederne che un piccolo stralcio, ma era sufficiente quella striscia di notte che si svelava dalla fessura fra i due teli della tenda che Yoxu aveva preparato per lei. Per loro. Era una tenda come quella dei loro antenati, aveva detto il ragazzo la prima volta che ce l’aveva portata, in una notte d’estate di quasi tre mesi prima. E lo era davvero, con i suoi tre lunghi pali di legno infissi nel terreno e legati assieme sulla sommità da un tendine di cavallo, e qualche telo a ricoprirli.

- Non potevo sprecare pelli di cervo per creare il nostro rifugio. Servivano alla mia famiglia. – le aveva detto stringendosi nelle spalle, con il suo sorriso onesto. – Ma spero apprezzerai ugualmente lo sforzo.

Kerry lo aveva apprezzato, quella notte e molte altre dopo di quella. Ogni volta che sgattaiolava via furtiva da casa, al villaggio, per raggiungere quella piccola tenda nascosta fra gli arbusti, dove sapeva che Yoxu l’aspettava, Kerry lo aveva apprezzato. E aveva apprezzato il calore delle braccia maschili che avevano creato quel riparo, e il profumo delle trecce di guerriero che le avevano sfiorato il seno ogni volta che sotto quei teli avevano fatto l’amore. Lo stesso profumo che in quel momento riempiva l’aria fresca del primo autunno, assieme al canto degli uccelli del mattino. Era tutto così romantico… troppo romantico. Kerry si mosse piano nell’abbraccio del suo amante, trattenendo a fatica l’impulso di lasciar correre le dita lungo il profilo marcato, e tirandosi a sedere senza indugiare. Yoxu era quasi addormentato, ma lei non poteva concedersi un simile lusso. Gli aveva dato volentieri il proprio corpo, ma da lì a fargli dono anche di una vera intimità… be’, ce ne correva.

Yoxu parve accorgersi, nel dormiveglia, del suo tentativo di fuga, e una grande mano le si posò su un fianco, mentre lei cercava di rinfilare la maglia.

- Perché per una volta non riposi un po’ accanto a me? – lo sentì dire con voce sorprendentemente netta, per un uomo da poco sveglio. Ma avrebbe dovuto aspettarselo: i guerrieri avevano il sonno leggero, sempre pronti com’erano a qualche scorreria nel cuore della notte.

La ragazza lottò per scoprirsi il volto e far scivolare il tessuto sintetico sulla pelle, e si sforzò di rivolgere al’uomo, ancora nudo e disteso in una posa serena, lo sguardo più distaccato che le riuscisse.

- Sai bene che non è opportuno. – gli rispose volgendo gli occhi altrove – Abbiamo fatto quel che ci andava, e va bene così. Tutto il resto non mi interessa.

Yoxu si tirò a sedere accanto a lei, senza lasciare la presa sul suo fianco. L’altra mano corse a volgerle di nuovo il capo, in modo che potesse guardarla negli occhi. “Oh, dannati occhi neri. – Kerry si sorprese a pensare, lottando per evitarne lo sguardo. – Perché dovete essere così…”. Non trovava mai le parole per descriverli. Non era una poetessa, dopotutto.

- Non sei la mia donna, forse? Io non sono il tuo uomo? – la voce di Yoxu era profonda, e non mascherava i suoi sentimenti – È questo che stai cercando di dirmi, che non provi niente per me?

Kerry avrebbe desiderato poter mentire, ma sapeva di non esserne in grado. Non quando lui la fissava come se sulla sua fronte corressero i soli di Clavis, e fra i suoi capelli crescessero fiori d’oleandro, splendidi e mortali. – Lo hai sempre saputo quel che penso, Yoxu, sin dalla nostra prima notte insieme. Io sono una guerriera, e voglio restare tale. Non voglio bambini, non voglio altro che combattere per la nostra gente.

- Non sono forse stato sempre attento, notte dopo notte, a non darti figli? – Yoxu le chiese senza capire. – Non ho mostrato rispetto per la tua volontà?

- Non è questo il punto. – Kerry sentì il senso di colpa risalirle nel petto come la marea. – Siamo in guerra, e c’è bisogno di bambini che un giorno prendano il nostro posto. Tu sei un guerriero rispettato. Dovresti trovarti una donna che vada bene per te.

Le labbra di Yoxu si avvicinarono alle sue, a soltanto un respiro, e a lei parve di poter sentire il cuore del suo amante battere contro il proprio. – Tu vai bene per me. – lo sentì sussurrare - Questo io lo so, e tu lo sai. E lo sanno anche le stelle, e gli alberi.

- Io non so cucinare, né lavorare le pelli. Non so danzare la danza dei campanelli, e quel che è peggio, non voglio sposarmi e darti dei figli. E tu… - la ragazza non poté trattenere ancora la carezza che fremeva sotto le sue dita, che si ritrovarono come animate di volontà propria a correre lungo la mascella squadrata di Yoxu, sulle le guance dagli zigomi netti, tra le sopracciglia folte e nere - … tu meriti tutto questo. Nelson vorrebbe che sposassi sua nipote, e tu…. – lottò per mantenere la voce salda. – …tu dovresti farlo.

- Kerry, smettila. – lui la strinse più forte fra le braccia, costringendola a sedergli in grembo. – Hai ragione, siamo in guerra. Siamo in guerra, e per quel che ne sappiamo, domani potremmo essere morti entrambi. Se non vuoi figli, lasceremo che siano gli altri ad averli. E se invece un giorno dovessi cambiare idea, mi troverai qui. – lo vide sorridere alzando le sopracciglia in un’espressione malandrina – Pronto. Ma fino a quel giorno, tu sei mia. La mia donna, la mia guerriera valorosa. È tutto qui quello che voglio, che l’Uomo di Tutti i Colori e Nessuno mi sia testimone.

Kerry non avrebbe voluto cedere tanto facilmente, ma cosa altro avrebbe potuto dire? Yoxu aveva ragione da vendere. Erano guerrieri, e la guerra era ancora lunga, e forse non avrebbero veduto una nuova luna. E a quel punto, che importanza avrebbe potuto avere se lui fosse stato il suo amante, il suo fidanzato, o il suo sposo? Quel fiero guerriero rimaneva una cosa di certo, e questo nessuno, neppure i soldati di Re Joffer avrebbero potuto cambiarlo.

Fino alla fine dei giorni, Kerry ne era sicura, Yoxu sarebbe rimasto il suo unico amore.
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Innamorati

di Michele Pinto

Città di Tamarin - 28 gagarin del 37° anno Prima di Mitòsis

Alanah era bellissima. Flavius non aveva mai visto niente di così bello. I suoi occhi scuri luccicavano al buio, i capelli le ricadevano sulle spalle come le onde del mare durante la notte buia. Flavius si fece coraggio e allungo la sua mano bianca per stringere quella della ragazza.
"Sul palmo è bianca come la mia, ma sul dorso è nera come l'ebano" pensò il ragazzo che in tutta la sua vita non si era mai sentito così fortunato e disse: - Sei bellissima Alanah!
- Anche tu sei bellissimo fantasmino! - ripose la ragazza. I due erano soliti scherzare sulla differenza di colore della loro pelle, come ad esorcizzare quello che sapevano sarebbe stato un problema nel loro futuro. Ma che importanza può avere il futuro per due innamorati, seduti su una scogliera davanti al mare mentre guardano Sole e Spegulo tramontare contemporaneamente dietro la tempesta perpetua? Assolutamente nessuno!
- Devo rivelarti un segreto, una cosa che non ho mai raccontato a nessuno - disse il ragazzo distogliendo lo sguardo dallo spettacolo che la natura stava offrendo.
- Che cosa? Chiese Alanah?
- Ho scoperto un deposito degli Antichi. Dentro ci sono oggetti meravigliosi - Flavius si fermò un attimo come per trovare il coraggio di continuare - il più bello di tutti è questo. Ed infilò un anello d'oro nelle dita di Ananah.
La ragazza rimase senza parole.
- Se lo sfiori qui c'è una sorpresa.
La ragazza eseguì ed un'immagine olografica di Flavius sorridente apparve proprio sopra l'anello.
- Così non ti lascerò mai sola.
Alanah commossa si strinse a Flavius in un abbraccio e con le lacrime agli occhi lo baciò.
Flavius avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, o che almeno durasse per tutta la notte scura.
Il suo desiderio non fu esaudito: sentì una mano forte che lo prendeva per la collottola e lo sollevava.
- Non devi nemmeno avvicinarti a mia figlia, feccia di un bianco! - gli urlò in faccia Fernando, il padre di Alanah - Voi bianchi non dovete nemmeno guardarla mia figlia!
Iniziò a ricevere una serie di calci e pugni su ogni parte del suo corpo. Il padre e i fratelli di Alanah non ebbero pietà di lui finché svenne o forse anche dopo.
La cosa che più fece male a Flavius fu trovare il suo anello in terra al suo risveglio.

Città di Tamarin - 12 marzo del 36° anno Prima di Mitòsis

Ferdinando stava camminando per la via principale di Tamarin davanti ad un antico palazzo, uno dei più belli della città.
Flavius lo stava osservando ad alcune centinaia di metri di distanza dal tetto di una catapecchia, abitata da bianchi, grazie ad uno strumento degli antichi che permetteva di vedere lontano, e che aveva anche altre funzioni.
- Sua altezza Re Joffer XI mi ha nominato governatore - annunciò alla moglie che lo accompagnava - il mese prossimo ci trasferiremo qui! Non è magnifico?
- Ferdinando, te la meriti quella promozione! Sei stato un ottimo vice governatore, severo ma giusto con la feccia bianca di questa città - rispose la moglie - Hai una macchia rossa sulla fronte, aspetta che te la pulisco.
Flavius schiacciò il grilletto del fucile di precisione degli Antichi. Ferdinando cadde a terra senza sapere cosa lo avesse ucciso.

23 Anni prima di Mitòsis
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Duemila e venti anni prima di Mitosis

di Spartaco Mencaroni

 2020 anni prima di Mitòsis
Centro di Controllo – Port Luis, Is. Mauritius

–  Sei sicuro che quel tizio non ci farà perdere tempo, George? Sai che in questa fase del progetto, ogni ritardo ingiustificato…
Gregory Bechet interruppe la frase a metà, lasciando cadere un silenzio eloquente nel luminoso ufficio al terzo piano del centro di controllo. Rivolto alla finestra, indugiò ad osservare lo spettacolo della nebbia che si levava dall’oceano indiano, confondendo nei suoi effimeri drappeggi la palla del sole all’orizzonte. Il suo assistente rimase in silenzio, alle sue spalle: aveva imparato a non mettere mai fretta al capo assoluto del progetto Clavis.

Fin dal suo arrivo a Port Luis, cinque anni prima, George Sanford era stato assegnato al più impegnativo dei cinque sottogruppi che lavoravano al sogno di Mitòsis, quello con l’obiettivo più ambizioso: non che gli altri si occupassero di banalità, ma Clavis era l’opera più grandiosa e folle che la razza umana avesse mai concepito. C’era un disperato bisogno di qualcuno che si occupasse della sezione genetica, in grado di districarsi fra l’impressionante quantità di proposte che i laboratori e le università di tutto il mondo avevano avanzato per le selezioni. Il vecchio aveva sfogliato le prime venti righe del suo curriculum, poi l’aveva assunto come suo assistente personale.
–  Non perderemo del tempo, Gregory. Ho seguito personalmente i lavoro del professor Preston durante gli ultimi quattro anni: i risultati che ha ottenuto nella fase sperimentale sono già sbalorditivi.
L’altro si allontanò lentamente dalla finestra, spostandosi verso un’elegante serra di acciaio vetrato, che occupava tutta la parete di fondo dello studio; ignorando il suo interlocutore, aprì una delle pareti di vetro ed iniziò ad occuparsi delle meravigliose e rare varietà di rose Bourbon, che da anni selezionava con passione e competenza.
–  Sai quanto ritengo cruciale la questione: sono convinto se il Progetto Mitòsis avrà successo, dipenderà soprattutto dal bagaglio di geni che avremo selezionato.
–  Lo so bene, ed è per questo che ho insistito perché tu veda il professor Preston di persona, qui a Pamplemusse. Le sue ricerche sulla tele–genetica…
Un grugnito di riprovazione interruppe il giovane a metà della frase.
–  Ancora con queste fantasticherie da fumetto? – gemette Bechet, esasperato.
– La trasmissione a distanza di informazioni visive e uditive fra esseri viventi non è fantascienza, – replicò Sanford, punto sul vivo – ma una promettente branca avanzata della genetica quantistica. I geni modificati codificano per anelli di atomi entangled, capaci di attivare le proprietà nanomagnetiche delle molecole appaiate, agendo da regolatori dei recettori sensoriali corticali…
–  Mi hai già spiegato la teoria! – lo interruppe nuovamente.
–  Allora lascia che quell’uomo ti mostri la pratica.

Il professor Preston era un ometto scialbo, dall’aria mite e impacciata. Era vestito con un completo scuro, di stampo antiquato, decisamente fuori moda. Ma a catturare l’attenzione di Bechet, quando lo vide in piedi sulla soglia del proprio ufficio, fu lo splendido esemplare di Belle Blache che lo scienziato teneva in mano. I petali della rosa, dalle delicate sfumature pervinca, riflettevano la pallida alla luce dei neon come se fossero illuminati dal pieno splendore di una giornata estiva.
Mentre i due uomini si fronteggiavano, le dita del professor Preston torsero con decisione l’estremità del gambo del fiore, staccandone un segmento con uno scatto secco. Subito la rosa iniziò a brillare di un’intensa luce azzurra, fredda e spettrale, mentre un profumo struggente inondava l’aria dello studio, lasciando Bechet trasecolato.
–  Buongiorno – stava dicendo lo scienziato, con un fare sicuro e compiaciuto che sembrava aver spazzato via la sua goffaggine di poco prima. – Mi chiamo Emmeth Preston, e credo di avere qualcosa che può interessarle.
Senza staccare gli occhi dal fiore, il creatore di Clavis indietreggiò verso la scrivania, facendo segno all’uomo di entrare. Con la voce tremante di eccitazione, disse soltanto: –  lo credo anch’io.

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L'erede

di Salvatore di Sante

Port Luis, Palazzo Reale - 2 giorno del mese di gagarin, 24 anni prima di Mitòsis

Nella sala del trono fervevano i festeggiamenti e incombeva un'attesa carica di aspettative. I nani giocolieri roteavano biglie colorate in bilico sui monocicli, gli schiavi bianchi in abiti sfarzosi si trascinavano con le catene ai piedi tra la selva degli invitati, tenendo sopra la testa enormi vassoi d'argento ricolmi di ogni prelibatezza. Il chiacchiericcio sfumava in una melodia lentissima e perciò del tutto inadeguata, l'unica che potesse sgorgare dall'apparecchio col grande corno, residuato degli Antichi e bottino dell'ultima incursione dell'Esercito Reale ai danni dei Ribelli.
Re Joffer XII era stravaccato sull'imponente scranna con la guancia appoggiata al pugno, mentre il ritrattista lo raffigurava in sella a un pegaso corvino con la durlindana superbamente puntata verso Spegulo.
Un vagito dalla camera attigua pietrificò all'istante tutti quanti. Il ciambellano fermò la musica. I nani si sfilarono i monocicli da sotto il sedere abbandonando le variopinte sfere alla forza di gravità. Gli schiavi si immobilizzarono e si voltarono in direzione di quel pianto. Gli invitati smisero di masticare e imitarono gli schiavi. Il pittore di corte in preda a uno spasmo deturpò l'opera in corso con un lungo striscio nero.
Re Joffer schizzò dal seggio e irruppe come una folata di vento nella stanza.
- No no no Maestà - lo bloccò subito Axia, la levatrice. - Ci sono state complicazioni durante il parto, la regina è allo stremo ed ha assoluto bisogno di riposo - disse spingendolo fuori dalla camera e affrettandosi a mettere il chiavistello. - Dovete pazientare almeno 48 ore Sire, per il bene del bambino e di vostra moglie. - gli urlò da dietro la porta.
Re Joffer esitò un attimo, poi sbuffando tornò alla sala del trono.
 - Chi vi ha detto di smettere? Avanti coi festeggiamenti, forza! - sbraitò.
La musica riattaccò, i giocolieri inforcarono di nuovo i monocicli, gli schiavi ripresero a vagare apaticamente e gli invitati finirono di masticare i bocconi in sospeso. Martin il pittore invece osservava sconsolato il suo quadro, spremendosi le meningi su come rimediare all'errore.
Per il momento il pericolo era scampato, ma dovevano pensare a un piano.

Due giorni dopo...

- È un maschio? - esclamò rivolto alla regina Aoleon che lo fissava col volto imperlato di sudore.
- Sì, Vostra Maestà - tentennò Axia tenendo il frugoletto al petto, ben avvolto nella coperta.
- Un erede! - esultò Re Joffer XII. - Fatemelo vedere! - disse poi avvicinandosi. Ma la levatrice si ritrasse spaventata. Re Joffer XII rimase interdetto e lanciò alla moglie un'occhiata interrogativa. Aoleon distolse lo sguardo imbarazzata. Joffer XII si avventò sul fagottino, Axia urlando fece un passo indietro e la coperta scivolò in terra.
La regina urlò e fece per alzarsi. Axia rimase immobile guardando timidamente i due schiavi nell'angolo, nell'assurda speranza che potessero fare qualcosa.
Il sovrano cacciò un grido piegandosi sulle ginocchia, come scosso da un conato, col viso paonazzo e tremulo. La saliva gli sprizzava fra i denti digrignati, mentre con gli occhi iniettati di sangue cercava su chi sfogare la propria ira, le nocche bianche strette sull'elsa della spada.
- No! Ti prego... - supplicò Aoleon ancora stesa sul letto.
Il re partì brandendo la lama contro la levatrice e il principe neonato.
Uno degli schiavi si staccò dalla parete e si lanciò contro Joffer, riuscendo a bloccargli la spada e a placcarlo a terra. Mentre combattevano il re riconobbe Zantior, lo stalliere, che fece un fischio prolungato. Nel vano della finestra apparve nitrendo un pegaso grigio.
- Fuggi da tuo padre, presto! - gridò Zantior alla regina continuando a tenere a terra il re.
L'altro schiavo aiutò Axia e Aoleon a salire in groppa; le due donne e il pupetto volarono via stagliandosi contro la sagoma porpora della luna, dirette a Flacq, dal Duca Leon.
Nella concitazione della lotta il sovrano riuscì a estrarre un pugnale dallo stivale e lo piantò nel collo di Zantior. Il sangue sprizzava copioso, lo stalliere sentiva le forze abbandonarlo molto in fretta. Joffer lo scalzò via con un colpo di reni.
- Schifoso bastardo, è figlio tuo allora? - berciò sputando addosso allo schiavo agonizzante.
Il rosso del sangue sulla pelle chiara gli fece balenare la fugace visione del bimbo, di quel visino candido. Le barriere cedettero e la follia esondò: Re Joffer XII fece a pezzi Zantior menando fendenti su fendenti, continuando anche quando il poveretto era ormai già morto. Infieriva sul cadavere ansimando e leccandosi il sangue che gli schizzava sul viso.
- Inseguiteli! Mandate i Notturni! (1) - ordinò poi al drappello di guardie accorse per il trambusto. Quindi fece un lungo respiro e, ripreso il controllo, si avviò all'uscita.
- Ah... - disse fra sé colto da un ripensamento. Rientrò e tagliò la gola all'altro schiavo rimasto in piedi vicino alla finestra.
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(1) I Notturni sono esseri umani a cui è stato impiantato il gene che conferisce alla civetta un'eccezionale visione notturna. Hanno occhi più grandi e con le iridi completamente bianche.